Polimagò

“Papà, quand’è che mi porti in Val di Mello a fare una delle tue vie?” La domanda mi viene fatta da Giulia, 26 anni, neolaureata a pieni voti in medicina e chirurgia (orgoglio paterno alle stelle). Quindi, se lascio stare “Durango” che è una cascata di ghiaccio, “Il Paradiso può attendere” molto improbabile da portare a casa in giornata, “Sette Aprile” un po’ troppo selvaggia, “Micetta Bagnata” un po’ troppo sprotetta, “Patabang” che è veramente bagnata perché è primavera, non mi rimane altro che, come ultima scelta, la via Polimagò.

Così, non tenendo conto della veneranda età, del sovrappeso e di tante altre controindicazioni, una bella giornata di giugno mi trovo a risalire la stupenda faggeta che porta allo “Scoglio della Metamorfosi”, ostentando una calma superiore al filino d’ansia dovuto al fatto di avere Giulia come compagna di cordata. Normalmente con un cliente la situazione è diversa: il fatto di essere uno dei due primi salitori della via mi dà la carica; con Giulia invece mi sento molto meno “eroico”.

Altro piccolo neo è che ho portato a risuolare le mie prodigiose ballerine rosse “Five Ten” (delle vere e proprie protesi adesive) e chissà perché, tra tutte le scarpe del magazzino, ho optato per un comodissimo paio di Boreal, modello “Asse” (stagionatura superiore ai vent’anni), splendide per i dolorosi incastri yosemitici, ma da considerare poco più che dei cimeli per quanto riguarda l’aderenza. In questo modo il tiro della placca verticale sopra la “Porta del Cielo”, che meriterebbe una scarpa più tecnica, mi dà da pensare. Ma si sa, il limite non sta mai nelle scarpe, ma nella testa di chi le usa e alla fine va tutto bene: un po’ di ravanata negli ultimissimi passi del mitico traversone prima di entrare nella fessura di Luna Nascente, probabilmente perché mi sono tenuto leggermente più in alto rispetto alla sequenza giusta di movimenti.

Giulia è salita veloce su tutti i tiri, l’unico problema l’ha avuto sul primo camino perché non capiva come prenderlo.
Il suo giudizio su Polimagò e stato: meno fisica di “Oceano”, ma alla fin fine più ingaggiosa. Mi ha poi fatto una serie di domande su come era stata la “prima salita” e io lì a spiegarle che nel lontano ’79, quando, “lei era ancora su a Bufett a fa andaa i asen”, espressione malenca che sta per “quando non eri ancora nata………”, non c’erano i favolosi friend ma gli scorbutici excentric, che per allestire una sosta bisognava martellare i chiodi stando in equilibrio su qualche cazzillo, che quando stavi quasi per cadere l’unica àncora di salvezza era quella di tentare un ultimo passo verso l’alto e che, come diceva il ritornello di una canzone molto famosa, a quei tempi: “Gli eroi, compresa quella vecchia irsuta pantegana di suo padre, eran tutti giovani e belli ……”.




Masescu Primavera 2010

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