IL TESSERONE: UNA VECCHIA STORIA QUASI EROICA

Nell’immaginario collettivo la guida alpina è vista o come un burbero Nonno di Heidi, che guida lo sprovveduto turista attraverso bufere e crepacci, oppure come un supereroe che, attaccandosi ad un appiglio sull’orlo di un burrone, salva la bella ragazza che, per una imperdonabile leggerezza, ci stava precipitando. In entrambi i casi il cliente ne esce come un sognatore incapace, con la predisposizione a mettersi nei guai.

Inizio anni 80: il Tesserone e "neanide" di Masesku

Nella realtà a me sono capitati clienti molto lontani da questo cliché ed uno di questi è stato il dottor Tessera, più che un fruitore, una sorta di violentatore di guide alpine (metaforicamente parlando). Basta guardare questa foto uscita da un vecchio album di famiglia, recuperata da mia figlia Giulia l’inverno scorso: balza subito all’occhio chi, fra il sottoscritto e il Tessera (in seguito Tesserone), sia la vittima e chi il carnefice, chi il domatore e chi l’orsetto lavatore addomesticato.

Piz Palù Parete Nord, al centro
lo sperone Bumiller
Il Tesserone è stato il mio primo cliente importante, perché nel mese di settembre del 1980 (io avevo 24 anni ed ero una giovane guida di belle speranze) mi chiese di guidarlo sullo sperone centrale alla Nord del Pizzo Palù, scalato per la prima volta a fine ‘800 dal Barone Von Bumiller. Dato l’evidente pericolo dell’impresa, il barone, un gentiluomo, aveva redatto un testamento nel quale assicurava alle famiglie delle sue guide una congrua pensione, qualora la scalata si fosse trasformata in tragedia. A mettersi nei panni della temeraria ed antica cordata tremano le gambe e la notte che ha preceduto la scalata, sarà stata, senza ombra di dubbio, insonne. Alla fine andò tutto bene perché, oltre alla bravura degli scalatori, le condizioni della montagna furono eccezionali. Questa storia del testamento e la successiva comparsa di un difficile seracco sommitale, appena sotto la vetta, unita all’imponente aspetto dello sperone, ha conferito alla scalata un aurea di severità che si è trascinata nel tempo fino ai nostri giorni.

Inutile dire che questa richiesta del Tesserone mi aveva fatto toccare il cielo con un dito e il trasbordo dalla mia piccola cinquecento alla sua imponente Volvo Station Vagon, con una serie di comandi e di quadratini luminosi che mi ricordavano la plancia di un aeroplano, che lui guidava tenendosi costantemente sulla corsia di sorpasso, curve comprese, fu per me una sensazione superlativa. “Allora i sciuri esistono per davvero” era il pensiero che mi frullava per la testa, quando, prima di prendere la funivia del Diavolezza, deviammo per Livigno per pranzare e per comperare delle bottiglie di alcool da portare a due sue ziette zitelle ma anche le sigarette per me: una stecca di Camel senza filtro dal pacchetto giallognolo.

Il giorno successivo il tempo non era buono e il Pizzo Palù era coperto fino a metà da una coltre grifagna di nubi, dalle quali scendeva una sottile ma intensa nevicata. “E’ solo una buferina”, sentenziò il Tesserone che voleva partire a tutti costi. Io ebbi paura, a fatica lo convinsi a rimandare il nostro programma di una giornata e, in alternativa, tenendoci sotto la linea delle nubi, facemmo una gita verso il Passo Bellavista, salendo dei ripidi pendii ghiacciati proprio sulla sua verticale. Scalammo anche dei seracchi a mo’ di allenamento con le nostre favolose piccozze: la Peck a forma di artiglio e la Gabarrou a forma di falce che, da pochissimo tempo, avevano dato inizio alla Piolet Traction, la nuova efficace tecnica di scalata su ghiaccio, che aveva messo in soffitta la meno redditizia, faticosa e lenta progressione del gradinamento…

La mattina successiva partimmo nel cuore della notte stellata e sulla Bumiller trovammo meno difficoltà di quelle che ci eravamo aspettati, in sei ore dal rifugio raggiungemmo la vetta e da quel giorno, per me memorabile, il nostro sodalizio durò per qualche anno.

Pur essendo io la guida, il Tesserone fu per me un vero maestro, io sapevo scalare e, come diceva lui, anche se ero uno di quelli che andava in montagna “cui scarpett del tennis”, avevo anche il concetto della neve e del ghiaccio, sempre presenti sulle grandi vie di “misto”, la sua vera passione. Però ero un perfetto ignorante, non sapevo nulla della storia dell’alpinismo a cui il Tessera si ispirava e soprattutto ignoravo il grande gruppo montuoso del Monte Bianco, il vero banco di prova degli alpinisti .

Le “Buferine”, come le chiamava lui, erano la specialità del Tesserone, nel senso che, oltre che dalle vie pericolose, era attratto dalle previsioni meteo incerte e, quella che avevamo evitato sulla Parete Nord del Palù, ce la andammo a beccare d’inverno sullo Sperone della Brenva, al Monte Bianco. “Guarda che io non so nemmeno dove si trovi questo sperone” gli dissi:” Non ti preoccupare, ci penso io “ fu la risposta. Così ci trovammo all’inizio di febbraio nel bel mezzo dello Sperone della Brenva, in una livida giornata di vedo e non vedo, circondati da enormi colate di ghiaccio grigio-verde, che toglievano il fiato. La via in sé non fu difficile, ma l’ambiente era veramente grandioso ed opprimente. Quando arrivammo alla fine della salita, sui dossi nevosi del Colle della Brenva, prima di perderci nel whiteout della discesa, prendemmo la saggia decisione di tornare al Rifugio Torino seguendo le nostre tracce e scendemmo dalla via che avevamo appena salito. Quell’inverno, verso fine marzo salimmo anche il Couloir Jager al Mont Blanc de Tacul,  a destra del più celebre Couloir Gervasutti, che il Tesserone aveva già salito con la famosa guida e ghiacciatore Gian Carlo Grassi. Questa volta era una splendida giornata, così, dopo avere raggiunto la cima, percorremmo in discesa la Via Normale del Bianco e poi, di nuovo fino al Rifugio Torino. Lì mi resi conto che, se la volta precedente l’avessimo intrapresa senza la minima visibilità, ci saremmo sicuramente persi, per finire congelati in qualche anfratto di ghiaccio…. 

Parete Nord dell'Aiguille Blanche



Fu bel tempo anche quando andammo a fare la Nord dell’Aiguille Blanche, ormai stavo imparando a difendermi ed accettavo l’ingaggio del Tesserone solo con previsioni meteo a prova di bomba. Quella volta venne con noi anche il mio amico Tico Olivo, col quale avevo trascorso l’infanzia nei prati di Vassalini, in Valmalenco, che faceva cordata con Sandrino, un ragazzo del nostro paese, detto il Dutur. Alle otto di mattina eravamo già sulla vetta di questa splendida e remota cima, che fa parte dell’interminabile Cresta di Peuteret. La cosa più rischiosa della giornata fu la notte al Rifugio Ghiglione, la cui struttura, arroccata su un ripido pendio tra roccia e neve, pendeva pericolosamente verso valle e nel quale il pernottamento era vivamente sconsigliato. Anche la discesa verso casa, iniziata calandoci dalle Rocher Gruber, fu un’esperienza elettrizzante. Non solo per i minacciosi seracchi che le circondano, ma anche per la ricerca dei cordini degli ancoraggi, che dovevamo liberare dal ghiaccio con la becca della piccozza. Su più di una calata non riuscimmo a stabilire la qualità dei chiodi cui ci affidavamo, confidando nell’azione cementante del ghiaccio …. La concezione della” sicurezza” era ancora anni luce da quella odierna. Impegnativa fu anche la traversata del tormentato Ghiacciaio del Freney, percorso da impressionanti crepacci di cui non riuscivamo a intuire il bordo, a causa di una alta coltre di neve fresca. Stavamo attraversando uno dei luoghi più sacri dell’alpinismo, dove, nel luglio del 1961, avevano trovato la morte alcuni tra i più forti alpinisti dell’epoca, travolti dalla tragedia del Pilone Centrale del Freney. L’ambiente e la storia mi facevano sentire piccolo, talmente piccolo da non meritare di morire in quell’angolo grandioso di montagna. Raggiungemmo il Colle dell’Innominata dove era morto Andrea Oggioni, amico e compagno di cordata di Walter Bonatti, poi giù, in un’interminabile susseguirsi di ore fino alla Val Veny e a Courmayeur. Era metà giugno ed il Rifugio Monzino, dove avevamo sognato di fermarci, non era ancora aperto.

Il Ghiacciaio del Freney sormontato dalle 
Rocher Gruber, più in alto i Piloni. Da le Journal de Neon

Oltre che a maestro di storia e geografia alpinistica, il Tesserone fu anche un grandissimo maestro di cinismo, categoria morale che esercitava con disinvoltura e col sorriso sulle labbra. Lui era un alto funzionario della sanità lombarda, probabilmente era il numero uno, ma su questo non si era mai palesato, mantenendo un alone di mistero sulle sue vere funzioni. Da quello che avevo capito la sua “mission” era quella di mettere “sul terreno” le direttive dei politici, di conseguenza il suo potere era enorme. “Vedi”, mi diceva con la sua voce in falsetto che contrastava con la sua possente mole, “Davanti al mio ufficio ho sempre la coda dei primari di medicina che si arruffano per avere i fondi per comperare questo o quel macchinario all’avanguardia, poi c’è la coda delle dottoresse che vogliono far carriera ed infine quella delle infermiere che invece vogliono cambiare reparto…” ed io lo vedevo già avere un occhio di riguardo nei confronti delle questuanti femmine…



La Volvo Station Vagon del Tesserone
“Io sono Nazi-Maoista, però sono costretto a votare democristiano” era la frase che più sintetizzava la sua visione del mondo e che pronunciava, quando si riferiva a quello che considerava il tracollo della sanità pubblica, nella quale si succedevano, a tambur battente, scioperi di ogni tipo. “Per fortuna ci sono le suorine che tirano avanti il carro, senza di loro i reparti sarebbero paralizzati!”. Una volta all’anno caricava le più meritevoli di loro sulla sua Volvo e le portava a Chiareggio premiandole, dopo la messa, con un pranzo luculliano all’Albergo Chiareggio, ottenendone una fedeltà cieca ed incondizionata. Nei nostri trasferimenti in macchina, oppure sui ghiacciai, io gli cantavo le canzoni rivoluzionarie comuniste che lui si divertiva un mondo ad ascoltare ed alle quali rispondeva con canzoni religiose tipo “Mira il tuo popolo o bella signora ….” cantate in falsetto. Un giorno, in Valle d’Aosta notai nel bagagliaio della sua macchina una grossa pistola: “Guarda cosa sono stato costretto a comperare, nientemeno che una P38, loro non si aspettano che uno come me gli possa sparare…” Loro erano quelli delle Brigate Rosse che avevano colpito a morte un suo collaboratore, costringendo il Tessera ad armarsi. Lui avrebbe sicuramente ingaggiato uno scontro a fuoco, vendendo cara la pelle. “E’ un po’ come in montagna” diceva “Devi essere convinto che quando passi sotto un seracco, questo non ti potrà mai precipitare sulla testa e tu ne esci indenne”, così è col brigatista, se spari per primo…diventi tu il seracco che crolla sulla sua testa”.
La P38 del Tesserone

IL Tesserone si vantava di avere fatto le scuole dai preti ed era felicissimo di essere stato allevato in un collegio dei Barnabiti, assieme ai rampolli della buona borghesia lombarda, in procinto di diventare la classe dirigente della regione più ricca d’Italia. Anzi, dichiarava che raggiunti i sessantacinque anni, età che lui stimava ormai scevra da ogni tentazione, si sarebbe fatto raccomandare dai preti per trovare un convento nel quale ritirarsi a studiare. Nonostante io condannassi con veemenza questo suo attaccamento al clero, il fatto mi faceva ridere ed in un certo senso mi affascinava. Il periodo nel quale ci frequentavamo era decisamente movimentato: da una parte c’era il terrorismo che non si faceva mancare nulla, perché c’era sia quello rosso che quello nero, dall’altra l’Anonima Sequestri che imperversava con i rapimenti di persona. Un giorno rapirono un suo compagno di collegio e la famiglia di questo, prostrata e spaventata, aveva delegato il Tessera a fare da intermediario. Quando il rapitore calabrese lo chiamava al telefono si presentava dicendo ”Qui Scania..”. “Ah, ciao Scania, come va? Allora abbiamo una moglie o una vedova?” era la risposta del Tesserone, in un distillato di vero cinismo.

Intanto la nostra attività alpinistica continuava, niente di estremo, ma salite sempre di carattere e mai banali. In un inverno di poca neve scalammo la lunga cresta che dal Passo Cassandra porta con una serie interminabile di anticime in vetta al Monte Disgrazia, dove dormimmo nel Bivacco Rauzi sepolti da quintali di fredde coperte di lana. In seguito partimmo per la traversata Scerscen-Bernina. Sulla vetta dello Scerscen, durante una pausa, a causa di una distrazione, lo zaino del Tesserone precipitò lungo la parete raggiungendo il Ghiacciaio dello Scerscen, 900 metri più in basso. Per recuperarlo rinunciammo a salire sulla vetta del Bernina e scendemmo lungo la “Direttissima” che era in condizioni favolose. Sembrava che la specialità del Tesserone, oltre ad affrontare le sue famose “Buferine”, fosse quella di fare in discesa delle vie che solitamente vengono percorse dagli alpinisti esclusivamente in salita. Quella volta il Tesserone contestò anche la mia prestazione professionale perché la sua richiesta era stata la traversata da Porta Roseg al Bernina, mentre io, nel cuore della notte mi ero confuso ed ero salito per il canalone Gussfelt, che taglia fuori sulla destra per poche decine di metri Porta Roseg. Per questo mio errore dovetti fargli ben 100 mila lire di sconto….

Roseg Scerscen Bernina

La nostra conoscenza si fece via via più intensa e lui cominciò ad utilizzarmi anche
come copertura per le sue "fuitine". Ad un certo punto quando il mio ruolo di copertura cominciò ad essere sempre più sfruttato un giorno pensai di ricattarlo :“Non credere che  questo sia del tutto gratuito, i servizi si pagano….”  A forza di frequentare il cinico aspiravo anch’io a diventare tale e ad ottenerne qualche beneficio, senza rendermi conto che, nei suoi confronti, non ero altro che un pivellino. Lui non si scompose: “Caro ragazzo che viene dalle montagne” mi disse con la sua vocina in falsetto” Vedi, io parcheggio sempre la mia auto nel bel centro di Milano, a due passi dal mio ufficio. Va da sé che il parcheggio è abusivo ed io sono diventato amico dei gestori calabresi. L’altro giorno, il capo mi ha detto: Dotto’, se mai avesse bisogno qualcosa, noi siamo sempre a sua completa disposizione. Per dire: un meschinuzzo aveva osato disturbare un nostro cliente, una brava persona come lei. E sa cosa gli capitò? Si ruppe le gambe cadendo dalla finestra, mentre la sua casa si era messa a bruciare…”. “Scherzavo Tesserone, continua pure ad usarmi come copertura” dissi chiudendo la questione.

Il Pilone di destra con la via 
Gervasutti-Bollini
Foto Joe Tasker/Mountain

In montagna, intanto si andava alla grande. Una mattina prendemmo l’elicottero da Courmayeour per puntare dritti al Colle di Peuteret, che raggiungemmo con un bellisssimo volo di 5 minuti. La giornata era splendida e sotto di noi scorrevano velocemente, come in un film, i ghiacciai tormentati dai crepacci e le vertiginose pareti del Pilier d’Angle e della Brenva. Quando atterrammo al colle fummo contestati da alcune cordate che si avviavano a salire la Cresta di Peuteret e che erano in marcia da almeno uno o due giorni. “Come dargli torto” pensai tra me e me, ricordando il mio candido lettino nel quale avevo dormito fino a poco più di un’ora prima. Il Tesserone, facendosi scudo della sua lieve sordità, che nei momenti opportuni sfruttava come un optional, non sentì nessuna maledizione lanciataci da quegli alpinisti, ma passò accanto a loro con sdegno e superiorità, del tipo “non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Quel giorno ci portammo a casa La Gervasutti-Bollini al Pilone di destra, una via aperta dal Fortissimo nel 1940  che, quando la scalammo, contava solo cinque ripetizioni. Pur essendo una via che si svolge in un posto spaziale, è quasi sconosciuta perché soffre della vicinanza del più blasonato Pilone Centrale del Freney, sul quale le cordate salivano ad un centinaio di metri sulla nostra sinistra.

Monte Bianco versante Brenva, al centro
la Via Poire
Foto CAAI
In quel periodo, più che una guida alpina mi sentivo come l’arpioniere di un’antica baleniera al soldo della versione alpina del comandante Achab di Moby dick: le mastodontiche vie di misto che gli agganciavo erano per il Tesserone l’equivalente delle balene che ossessionavano la mente del vecchio lupo di mare. L’apice della nostra collaborazione fu la Via Poire, sempre nella zona della Brenva, la via mangiatrice di uomini per eccellenza, una sorta di roulette russa dovuta alla presenza di minacciosi ed infidi seracchi, sempre pronti a precipitare a valle, che avevano fatto numerose vittime tra illustri alpinisti e di conseguenza pochissimo frequentata. Accettai il suo ingaggio per soldi e con la solita ignoranza. Avendo nel cuore le grandi vie di roccia, non sapevo nulla su quelle di misto e nulla della sinistra fama che aleggiava sulla Poire.  Dormimmo di nuovo al Rifugio Ghiglione che, col passare degli anni, pendeva sempre di più verso valle. “Speriamo stia su ancora per questa sera” fu il mio pensiero. Ad un’ora imprecisata della notte cominciammo la discesa sul ghiacciaio sottostante, raggiungendo in breve il Col Moore.


 Quando si scende da questo colle nel Bacino della Brenva, una strana atmosfera carica di elettricità comincia a pesare sopra la testa. Si ha come la sensazione di sfuggire ad un boia invisibile che si è momentaneamente distratto. Centinaia di metri più in alto appoggiano in equilibrio instabile, come una enorme ghigliottina, migliaia di metri cubi di ghiaccio che potrebbero staccarsi in qualsiasi momento. Uno di questi è il primo mattino, quando sulla cima della parete, millecinquecento metri più in alto, spuntano i primi raggi del sole e le grandi frane di ghiaccio che si è costretti ad attraversare ai suoi piedi, stanno lì come un monito, in una sorta di “terra di nessuno”. Quel mattino andò tutto liscio e velocemente raggiungemmo la base delle rocce della famosa Pera, idealmente, ma non so quanto praticamente, protetti dalla caduta dei seracchi. La parte di roccia, minuziosamente descritta nei resoconti di Graham Brown, il primo salitore, talmente dettagliati e drammatici da essere quasi disorientanti, mi sembrò più che abbordabile. Alla fine, sia per lunghezza che per difficoltà a me era sembrata non molto dissimile dal Torrione Porro, una umile salita della mia Valmalenco, che avevo fatto numerose volte durante gli anni del liceo, a volte con gli scarponi, altre con le scarpe da ginnastica e spesso in solitaria. “Siamo arrivati al Picciolo, possiamo fermarci per fare colazione” disse il Tesserone, quando la parte di roccia terminò. Mangiammo qualcosa, ma quel senso di precarietà che mi ronzava nella testa fin dal mattino presto non si attenuava e mi stringeva la bocca dello stomaco, soprattutto se buttavo l’occhio verso la quinta di seracchi qualche centinaia di metri sopra di noi. Fu in quel momento che mi resi conto di essere in un posto veramente pericoloso e mi sentii al sicuro solo qualche ora dopo, quando fummo sulla vetta del Monte Bianco. Scendemmo dalla via normale ed arrivammo in tempo per prendere una delle ultime funivie che da Punta Helbronner ci portò a Courmayeour. Mai un parcheggio di una funivia mi era sembrato il posto più idilliaco della terra come quella volta. Dall’inferno della Poire, sulla quale però quel giorno non si era mosso neppure un sassolino, al paradiso delle comode poltrone della Volvo del Tesserone. Scendendo in macchina dalla Valle d’Aosta mi porse una guida del CAI, dove la Via della Poire era descritta in toni paurosi. “Non te l’ho fatta leggere prima perché altrimenti non saresti venuto e saresti rimasto nella tua sperduta valle a fare lo zio…” concluse il Tesserone “…e non ti saresti portato a casa questa via leggendaria”.

Le vie del versante Brenva
Foto CAI

A differenza di quasi tutti i clienti che si affezionano alla propria guida, tenendosela buona per tutte le loro avventure in montagna, il Tesserone iniziò a un certo punto a tradirmi cercando qualcuno che costasse meno di me. Così il nostro sodalizio si sciolse e quello che rimase furono dei bellissimi ricordi e tante lezioni di vita che ebbi in eredità. A parte la Nord del Cervino che aveva salito con il blasonato Marco Barmasse di Cervinia, ero orgoglioso che gran parte della sua attività alpinistica più significativa l’avesse comunque fatta con me. Ho solo il rimpianto di avere, per pura spocchia, rifiutato di salire il Monte Bianco dalle Rocher de la Tournette, una via ottocentesca ormai poco frequentata perché lunghissima e priva di rifugi intermedi, che invece costellano le affollate vie normali del versante francese. Ritenendola priva di interesse tecnico, ma solo una interminabile sgamellata, mi rifiutai di accompagnarlo e devo dire che, a distanza di molti anni, me ne trovo veramente pentito. Era solo una “Via normale”, ma col senno di poi so che sarebbe stata una di quelle scalate memorabili, che si ricordano per tutta la vita. Mi sarebbe piaciuto fare anche una via dalle parti delle Courtes e delle Droites, ma non si presentò più l’occasione. Avendo vent’anni più di me, il Tesserone ha superato alla lunga gli ottanta, senza perdere un filo del suo cinismo: “Sono stato alla Porro con la Clara”, la moglie, santa subito:” Speravo morisse ed invece è tornata ancora viva…. “Una volta all’anno, durante l’inverno, si presenta nel mio Bar sulle piste di sci del Palù, in compagnia di qualche premurosa badante di svariati lustri più giovane di lui. “Tesserone, a questa età non dovevi essere in convento a studiare?”. Se il suo fisico ha iniziato ad accusare l’usura del tempo, nel suo sguardo si è conservata la luce ironica ed assassina di quando sentenziava: ”Quando ci passo sotto io, i seracchi non crollano!”. Poi avvicinandosi al mio orecchio intona una delle vecchie canzoni rivoluzionarie che si divertiva sentire nelle nostre antiche trasferte e mi dice “Anche tu ormai sei un comunista che ha sposato il capitalismo ….” L’unica nota negativa è che si è convertito alle ciaspole, che ai suoi piedi sono un evidente sintomo di decadenza e a me viene in mente quella mattina di tantissimi anni fa quando con la sua Volvo salivamo una curva in contromano sulla strada del Bernina, rischiando di schiantarci contro un trattore agricolo carico di fieno. “Cosa fa questo svizzero in giro a quest’ora?” era stato il commento del Tesserone, pronunciato con la sua indimenticabile voce in falsetto….

 

Paolo Masa

Guida Alpina

Maggio 2021

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