1977 SASSISTI AL PICCO LUIGI AMEDEO




Quando frequentavo i Sassisti, vedendoci così giovani, spensierati, privi di qualsiasi pensiero legato alla vita reale che non fosse quello di arrampicare, ogni tanto pensavo: “chissà come saremo da vecchi?”
Intendiamoci, siccome a noi sembravano già vecchi quelli che avevano trenta o quarant'anni, non avremmo mai pensato di raggiungere l'età dei nostri genitori, a quel tempo dei "sessantini", la cui serenità era stata spezzata dalla nostra passione per l'arrampicata.
Una prova di come siamo diventati l'ho avuta agli inizi di giugno di quest'anno quando sono stato raggiunto da una telefonata di Guido Merizzi, stimato Geologo in Sondrio e Guida Alpina, che mi chiedeva se ero disponibile, il giorno seguente, a fare un sopralluogo su una frana che minacciava un noto santuario della Valchiavenna.
Come tutti noi, giovani studenti (o presunti tali) dell'epoca, malati di montagna, Guido ha fatto parte del gruppo Sassisti, costituitosi alquanto informalmente nella seconda metà degli anni 70, alla base del Sasso delle Crepe, zona Remenno, in un pomeriggio d' autunno.
Popi Miotti sul primo tiro della Taldo-Nusdeo
foto Popi Miotti
Guido è fratello di Jacopo e tanto era esplosivo, provocatorio e predisposto allo sberleffo il fratello, tanto lui era timido e riservato, con uno sguardo profondo ed un bel sorriso, un po' indefinito, privo di qualsiasi malizia.
Avendo all'epoca appena 15 anni egli fu, senza dubbio, il più giovane dei Sassisti.
Con Popi Miotti, nel giugno del 1977, esattamente quarant'anni fa, io e Guido fummo protagonisti di una bellissima scalata, tipica del nostro periodo d'oro che, oltre ad aprire vie nuove in Val di Mello, consisteva nel percorrere a tempo di record le vie più difficili aperte dalle generazioni di alpinisti che ci avevano preceduto. I nostri obiettivi preferiti erano le vie che avevano le gradazioni massime di difficoltà, sintetizzate da una formula vagamente matematica (6°+ A3), che si pronunciava come una specie di scioglilingua: "sestopiùatre".
Se una via era classificata (6°+A2) "sestopiùadue", già si storceva il naso, reputandola non degna di attenzione. La nostra specialità era percorrerle in velocità e poi "sgradarle", dare loro una valutazione delle difficoltà decisamente più bassa: un vero e proprio godimento.....
Giugno 1977 Popi Miotti sotto il Naso del Picco,
anche questo difficile tiro fu superato quasi totalmente
in libera
Foto Popi Miotti
Una di queste vie era la Sud-Est del Picco Luigi Amedeo, in Val Torrone, aperta nei primi anni sessanta dalla cordata composta da Vasco Taldo e Nando Nusdeo, due tra i migliori rocciatori italiani di quel periodo. Descritta dai rari ripetitori con toni drammatici, era considerata la via più difficile del Masino. Un anno prima Jacopo Merizzi e Francesco Boffini l'avevano scalata e, data la loro età adolescenziale (erano entrambi diciassettenni), da una parte avevano lasciato di stucco l'ambiente accademico e dall'altra ne avevano un po' ammorbidito l'inquietante nomea.
Erano così giunti i tempi per una sua scalata la più veloce possibile. Con Guido e Popi stimavamo di poterla fare con un solo bivacco in parete, al posto dei due-tre impiegati fino ad allora.
128 Fiat!!!
Così una bella mattina presto ci trovammo in Piazza Garibaldi a Sondrio. Io ero in ritardo perché, scendendo dalla Valmalenco avevo bucato la bicicletta e fatto l'autostop ad un camion della MAISA, una cava di talco della Valbrutta, ed arrivai giusto un attimo prima che i miei amici, maledicendomi per il bidone, se ne tornassero a casa. Il Popi aveva una splendida Fiat 128 bianca, per quei tempi una specie di ammiraglia e non so quale misteriosa forza ci spinse su per i sentieri, ma a metà mattinata eravamo già pronti ad attaccare la slanciata torre triangolare del Picco Luigi Amedeo. La tecnica che usavamo era quella da big wall, che avevamo imparato sfogliando le riviste americane e leggendo i racconti di Rahinard Karl, scalatore tedesco, assiduo frequentatore del Capitan e scrittore forse ineguagliato per la sua bravura e per il tono leggero ed antieroico dei suoi scritti. In pratica: il primo di cordata scalava, uno dei secondi schiodava e recuperava i nut ed il terzo, risalita velocemente coi jumar una corda fissata dal primo, recuperava il saccone con dentro viveri e sacchi a pelo. Non so quanto questo modo di procedere velocizzasse la nostra scalata, ma solo il fatto di aver messo in pratica le tecniche dei nostri idoli californiani, ci riempiva di orgoglio. Nella nostra testa avevamo azzerato, con non poca autorefenza giovanile, tutte le generazioni di scalatori che ci avevano preceduto.
Solo la caduta del saccone da recupero durante una manovra riuscita male, con dentro tutto quello che ci serviva per la notte, ci mise il dubbio che forse, di strada da fare, ne avremmo avuta ancora molta .....
"Tiro della Grotta"
Foto Popi Miotti
In ogni caso, non tutti i mali vengono per nuocere e alla fine, questo fatto, anche se al momento non ce ne accorgemmo, ci velocizzò. Verso metà pomeriggio, alla base del famoso e temibile "Tiro della Grotta", uno dei più difficili della via, toccò a me andare da capocordata. Bisognava scalare una breve, ma complicata costola di granito, uno dei famosi tratti di A3 (artificiale duro) che nelle nostre intenzioni avevamo in mente di sbertucciare. Ma, dopo la caduta dello zainone, il morale era a terra ed il fatto che a quel tempo, come chiodatore fossi alle prime armi, ci faceva già pensare ad un freddo, scomodo e triste bivacco a metà parete. La Grotta del Picco forma però nella sua parte più profonda un buio camino, nel quale, non ricordo come, mi intrufolai, scoprendo che questo favoriva una arrampicata libera fino al grande tetto della grotta, tagliato da una larga fessura, nella quale in pochissimo tempo mi trovai infilato. La sensazione di vuoto era enorme, ma il fatto di essere saldamente incastrato nel tetto, piedi compresi, fu esaltante. In poco più di mezz'ora tutti e tre eravamo riusciti a superare il tratto di parete che ci aveva preoccupato di più e che pensavamo ci avrebbe impegnato per ore. Da lì in avanti, galvanizzati dal nostro insperato successo, la parete ci parve più facile di quanto non fosse e ancora con le luci del giorno raggiungemmo la fine della via.
Neanide di Sassista dopo il bivacco.
Nonostante le velleità rivoluzionarie
il calzettone rosso resisteva, eccome!
Foto Popi Miotti
Non conoscevamo dove fossero le calate per le corde doppie e, per la discesa, aspettammo le luci dell'alba, bivaccando sotto un enorme strapiombo. Prima del buio guardammo giù, verso una macchia rossa vicino alla base della parete, lì dentro c'era, inutilmente custodito, tutto quello che ci sarebbe servito per il bivacco, che fu lungo, scomodo, con un freddo irritante dalla metà della notte in avanti. Ma, se avessimo avuto a disposizione quel bendidio (sacchi a pelo, fornellino, viveri …), forse non avremmo fatto quella veloce scalata che io e Guido stavamo ricordando una mattina di quarant'anni dopo, tentando di riconoscere tra le nostre rarefatte capigliature e i segni del tempo, i ragazzi che eravamo stati.
Ho scalato la bellissima Sud-Est del Picco numerose altre volte, e mi sono intrufolato sempre di più nel fondo del camino, dove la luce del giorno quasi scompare, accorgendomi che, più entravo dentro, più la scalata diventava facile e dal sesto grado che avevamo dato quel giorno indimenticabile, la sua difficoltà si sarebbe potuta classificare con dei gradi sempre più bassi.
Per quanto riguarda Guido ecco cosa gli è rimasto di quei vecchi tempi, il suo sguardo chiaro, un po' enigmatico ed il suo sorriso che, come mi aveva confessato un giorno una sua giovanissima ammiratrice, assomigliava niente meno che a quello del mitico Sting, il cantante leader dei Police........e a guardare bene, la cosa quasi, quasi ci azzecca.

Masesku settembre 2017

PS: Grazie Popi per le foto!!!!




Popi Miotti

Guido Merizzi
Masesku

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